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Il pianoforte : evoluzione del corpo sonoro. La piastra

L'evoluzione del corpo sonoro

La piastra

Barre metalliche singole di rinforzo

Nel corso del XIX sec. aumentarono man man le esigenze, intese ad ottenere strumenti con sonorità di sempre maggiore volume. Per farvi fronte, aumenta il diametro delle corde, migliora la qualità del metallo "armonico", si eleva la tensione e la forza di trazione delle corde, di cui è pur necessario tener conto; ma anche la tastiera si allunga ancora, le corde diventano ancor più numerose. E' chiaro che, di questo passo, i soli telai in legno non possono più reggere e, di conseguenza, si assiste alla comparsa di iniziali barre metalliche singole di rinforzo, poste nei punti più critici.

Questi tentativi avvengono soprattutto ad opera di costruttori americani ed inglesi, e si diffonderanno ben presto in tutto il settore.

Battistrada di questa nuova concezione sono, poco dopo il 1800, i costruttori John Hawkins di Philadelphia e Alphons Babcock di Boston, le cui strutture metalliche, introdotte nella formazione dei telai, finiscono col prendere valore normativo nel campo dei pianoforti, sia verticali che a coda.

Barre metalliche multiple

In Europa, l'applicazione di elementi metallici nell'allestimento di pianoforti a coda avviene solo per piccoli passi. Così, per es., nel telaio di un "Hammerfluegel" Erard che risale a un po' prima della metà del secolo XIX, compare un sistema di barre metalliche, che erano però state precedute da alcuni rinforzi metallici singoli. Comunque, anche qui è pur sempre il telaio in legno a portare il grosso della tensione delle corde. Le barre metalliche hanno solo un compito di completamento.

Barre metalliche combinate con piani metallici

Un successivo passo evolutico, vede l'introduzione di modeste superfici piane metalliche, fissate al telaio di legno, che permettono di ancorare bene, con punte di aggancio, le corde nella parte posteriore dello strumento. Nascono così una serie di svariate combinazioni di barre e piani, di cui si ha un bell'esempio in un coda Pleyel, che risale alla seconda metà del XIX secolo, ed è particolarmente ben conservato.

Integrazione di barre e piani conducono alla piastra in ghisa

Ben presto i costruttori di pianoforti si rendono conto di quanto fosse vantaggiosa l'adozione di strutture metalliche abbinate al telaio di legno, e agli effetti della stabilità generale dello strumento, e in riguardo alla tenuta dell'accordatura, assai migliorate.

Determinante nell'impiego definitivo della completa piastra di ghisa, sia pur per fasi progressive, è stato Henry Steinway (1797-1871), emigrato in America dopo le rivolte europee del 1848.

Nella sua fabbrica di New-York viene usata per la prima volta nella costruzione di un pianoforte a tavolo, una piastra in ghisa combinata con la impostazione incrociata delle corde.

Nel 1859 questo abbinamento di piastra di ghisa e corde incrociate viene brevettata per i pianoforti a coda, e nel 1866 per i verticali. La "consacrazione" definitiva di questa nuova concezione avviene all'Esposizione Mondiale di Parigi, nel 1867, ed essa mantiene tuttora la sua validità.

Piastre in ghisa "in appoggio"

Perfezionamenti di dettaglio nella progettazione delle piastre, si osservano nel passaggio della piastra "in appoggio", inizialmente di semplice ferro, alla piastra in ghisa di fusione, con somiere coperto. Nelle piastre "in appoggio", il somiere è ancora direttamente connesso ai piantoni del telaio in legno; e precisamente, la piastra è in appoggio e insieme di sostegno contro il somiere, quale rinforzo teso ad assorbire la tensione delle corde; ma il carico di flessione che grava sul somiere deve essere tuttavia sopportato dai piantoni del telaio.

Somiere scoperto/coperto

Il passo successivo è costruito dalla piastra estesa a tutta la superficie e quindi comprendente anche il somiee; solo il campo delle caviglie resta "vuoto". Ma alla fine si fa largo il concetto della piastra a somiere coperto, dove il campo delle caviglie viene poi perforato in corrispondenza delle stesse singole caviglie e le facce interne dei fori vengono guarnite con appositi piroli (di legno duro, come il carpino), a loro volta trapanati per l'inserimento delle caviglie.

Il vantaggio di questo sistema di costruzione è dato dal fatto che le caviglie reggono in modo più stabile alla tensione delle corde e il somiere, grazie al riquadro profilato della piastra, è obbligato a restare in linea, senza tendenze di piegamenti a gomito; i piroli proteggono le corde da possibili stridenti contatti con il metallo della piastra, e offrono il più esatto "momento di rotazione" delle corde e quindi una maggiore tenuta di accordatura.

Somiere scoperto/coperto

Agli inizi degli anni trenta Wilhelm Arno Schimmel (1898-1961) riesce a realizzare un nuovo passo di decisiva importanza nell'evoluzione costruttiva del pianoforte. Il suo brevetto, che prevede pianoforti dotati di una piastra "a corazza piena" (in tedesco "Vollpanzerplatte", in italiano "a piastra portante"), e privi del telaio in legno, è indice di altro progresso e, nel contempo, segna il felice e indovinato inizio della produzione dei pianoforti "piccoli" (in ted. "Kleinklaviere"), dal grazioso aspetto esteriore e tuttavia di ricca sonorità. Analoghi tentativi erano già stati fatti nel primo '800 con i cosiddetti "Cabinet Pianos". Ma la concezione di costruire il pianoforte con un telaio massiccio, ha impedito, a quell'epoca, che si potesse "osare" la riduzione della profondità dello strumento.

E' solo con il progressivo sviluppo della "piastra portante" che si offre la possibilità di ridurre, o addirittura eliminare, nei pianoforti verticali, i piantoni intermedi e di calcolare la piastra in modo tale, che essa, ed essa sola, sia in grado di assorbire anche la tensione delle corde. Ed è appunto Wilhelm Arno Schimmel a trasformare queste idee in realtà. Anzitutto, il somiere non viene più connesso ai montanti del telaio, bensì integrato completamente nella piastra.

La tavola armonica viene inserita in una robusta cornice, e il tutto fissato ad una piastra pesante, con alti profili, ingrado di resistere alle forze derivanti dalle corde e a tutte le forze di torsione emergenti lungo tutti i lati del corpo sonoro. Questa piastra è però anche dotata di una barra orizzontale di rinforzo, che corre a metà altezza, e fa corpo unico con i profili marginali e le costolature trasversali. Queste geniali intuizioni portano ad una più razionale distribuzione di tutti i carichi e costituiscono il "segnavia" verso cui indirizzare la moderna tecnica costruttiva del pianoforte.

Dopo pochi anni Wilhelm Arno Schimmel fa, nel campo dei pianoforti "piccolo", un vero lavoro da pioniere, che brevetta nel 1936: grazie ad una disposizione incrociata al massimo delle corde, egli riesce a montare in questi pianoforti corde dei bassi di lunghezza normale, così come riesce a contenere in così poco spazio tutta la struttura interna, compresa la meccanica a doppia ripetizione posta ortogonalmente al di sopra della tastiera. Egli realizza così uno strumento di forma quanto mai gradevole, dalla sonorità piena e con ottimo tocco.

La piastra dei pianoforti a coda

Da sempre, l'attenzione e la genialità dei costruttori fu indirizzata alla ricerca di continui miglioramenti delle loro realizzazioni, con un occhio particolare rivolto ai pianoforti a coda. Tra i tanti altri, fu Steinway & Sons ad apportare un decisivo contributo allo sviluppo di quella che era stata la piastra di ferro dei pianoforti a tavolo, a corde incrociate. Il passo verso l'adozione della piastra in fusione di ghisa, atta ad assorbire la tensione delle corde negli strumenti a coda, era ormai questione di tempo, dato che la forma-base degli stessi, come pure la disposizione delle corde all'interno, sul prolungamento dell'asse longitudinale dei tasti, erano cose già acquisite.

L'introduzione della pesante piastra in fusione unica di ghisa costituì un progresso che si diffuse ben presto dappertutto. Grazie ad essa, si rendeva possibile la revisione del proporzionamento delle corde, aumentandone il diametro, con il risultato di dare allo strumento una maggiore potenza di suono ed un timbro del tutto nuovo: si venne così incontro alle aspirazioni dei pianisti, offrendo loro la possibilità di interpretazioni musicali impensabili con la concezione costruttiva fino ad allora in atto.

Nel frattempo sono trascorsi oltre 100 anni, e agli strumenti sono stati apportati via via altri e svariati miglioramenti. Ma la piastra in fusione di ghisa è rimasta praticamente inalterata. Il suo tipo di costruzione può essere definito come un'armatura dotata di costolature (saette) che seguono, ognuna, l'andamento delle corde, e in parte tra di loro collegate. Esse sono solidamente fissate alla parte anteriore della piastra, sul piano delle caviglie, trovando sostegno sulla sua parte larga, verso destra rispetto alla posizione di chi suona. Con l'evoluzione della tecnica di fusione, è andata naturalmente perfezionandosi anche la tecnologia per la produzione delle piastre di tutti i pianoforti, sia verticali che a coda. E ciò, con il concorso di altre migliorie costruttive, ha fatto sì che nei coda moderni la piastra non si limiti solo a far fronte alla tensione delle corde, bensì, grazie alla sua funzione portante e al suo peso, sia assurta a componente determinante del corpo sonoro.