Quasi contemporaneamente ai clavicordi compaiono gli strumenti a pizzico, clavicembalo, spinetta e virginale. A differenza della stretta parentela del clavicordo con l’antico monocordo, gli strumenti a pizzico si dovrebbero vedere piuttosto come una svolta meccanizzata del già menzionato medievale salterio, suonato a pizzico con le dita.
In questi strumenti il pizzico avviene per mezzo di un dispositive a tasto, sulla cui estremita posteriore poggia un “saltarello” - piccolo parallepipedo di legno - munito nella parte superiore di un beccuccio. Il beccuccio può essere di penna di corvo. Nel suo movimento in su, il beccuccio pizzica la corda, si sposta ridiscendendo, mentre uno smorzo di feltro posto in cima al saltarello riporta la corda in posizione di riposo.
II principale del summenzionati strumenti è il clavicembalo (ted. “Cembalo”, fr. “clavecin”, ingl. “harpsichord”). Esso ha di regola la forma tipica “a coda” (ted. “Fluegel-form” = “a forma di ala”), che si adegua alla naturale disposizione delle corde. Queste sono messe in prolungamento dei tasti e diventano sempre più corte con l’aumentare dell’altezza del suono. La “voce” di tale strumento (chiamato in tedesco anche “Kiel-fluegel”) è notevolmente più voluminosa e potente di quella, più contenuta, del clavicordo, anche di quelli più grandi, a coro tripio; ma del clavicordo manca, a questi nuovi strumenti, la possibilita di “modulare” il suono, dato che in essi, una volta pizzicata la corda, cessa ogni contatto tra tasto e corda. Tuttavia, i clavicembali più perfezionati presentano altre possibilità di sfumature dinamiche e coloristiche, grazie all’impiego di “cori plurimi”, di registri da 16’, 8’, 4’ e 2’, come pure all’adozione di più manuali.
La più piccola forma di questo tipo di strumenti è la spinetta, la cui etimologia è incerta: o da “piccola spina”, di cui ha la forma il plettro, o da Giovanm Spinetti, cembalaro veneziano attivo all’inizio del ‘500. La tastiera è disposta sul lato più lungo dello strumento, contrariamente al clavicembalo, che l’ha “in testa”. Ciò significa che nella spinetta le corde non sono prolungamento del tasti, bensì si trovano ortogonali ad essi, come nei semplici clavicordi. La forma esterna della spinetta è di solito irregolare, spesso pentagonale o trapezoidale. Inoltre, le spinette hanno per lo più corde singole e una voce piuttosto limitata. Perciò sono, come già il clavicordo, prefenti quali strumenti per far musica in famiglia.
L’origine etimologica della parola “Virginale” è assai discussa e dubbia. Strumento a pizzico di forma quadrangolare, di dimensioni ridotte, il virginale è preferito in Inghilterra e nei Paesi Bassi, ma anche in altri paesi europei è stato costruito per secoli e si è molto diffuso. La forma esteriore quadrangolare si è mantenuta fino al pianoforte a tavolo, venuto più tardi.
Sembra accertato che gia nel XV e XVI sec. furono sperimentati sistemi di meccanica in cui bacchette - oppure piccoli martelli - avrebbero percosso la corda, anziche pizzicarla, per metterla in vibrazione. Immediate precursore degli “strumenti a tastiera e martelli” si ritiene sia stato uno strumento del tipo “Cymbalurn” elaborato da Pantaleon Hebenstreit (1667 - 1750) verso la fine del sec. XVIII, e da questi presentato in un giro di concerti per tutta Europa e denominato appunto “Pantaleon”. Il principio che ne sta alla base, e che prevede l’immediata ricaduta del martello dopo l’avvenuta percussione, è in definitiva lo stesso, sul quale si fondano le meccaniche dei pianoforti. Viene da pensare che la meccanizzazione del Cymbalum ne sia stato il primo seme, correlando il fatto che gli strumenti a pizzico traggono origine dalla meccanizzazione del monocordo.
La meccanica a martelli, giunta ad uno stadio di sufficiente maturazione, soppianta via via le meccaniche a saltarello dei clavicembali, delle spinette e dei virginali, come pure le meccaniche a tangente dei clavicordi. Solo la forma del corpo sonoro rimane in un primo tempo praticamentc inalterata rispetto ai predecessori.
L’invenzione d’un primo “pianoforte a martelli” valido per successivi perfezionamenti, è merito del maestro cembalaro italiano Bartolomeo Cristofori (1655 - 1731), e pare risalga a circa il 1709 (secondo altri al 1702 - e, da una relazione di Mano Fabbri nel 1968 - al 1698 - 2 anni prima del Giubileo - 1700). Egli era Conservatore della Collezione di Strumenti Musicali di Ferdinando de’ Medici a Firenze, e pare che i suoi esperimenti avessero avuto inizio dal 1690: dato l’alto grado di perfezione a cui era già pervenuto, taluno non esclude che già altri avessero, in precedenza, lavorato in tale senso; il che dovrebbe avergli dato una certa sicurezza.
La
dettagliata descrizione della nuova meccanica inventata dal Cristofori e data
dal Marchese Scipione Maffei nel “Giornale de’ Letterati” edito a Venezia
nel 1711 e nel 1719; questi articoli furono poi tradotti nel 1725 su “Critica
musica” di Johann Mattheson, da Ulrich Koenig nel tedesco del suo tempo.
L’articolo del Maffei del 1711, trascritto ora con l’alfabetizzazione
moderna, ma intatto nel testo dice: “Se il pregio delle invenzioni deve
misurarsi dalla novità, e dalla difficoltà, quella di cui siamo al presente a
dar ragguaglio, non è certamente inferiore a qualunque altra da gran tempo in
qua si sia veduta. Egli è noto a chiunque goda della musica, che uno dei
principali fonti, da quali traggano i periti di quest’arte il segreto di
singolarmente dilettar chi ascolta, è il piano, e’l forte; o sia nelle
proposte, e risposte, o sia quando con artifiziosa degradazione lasciandosi a
poco a poco mancar la voce, si ripiglia poi ad un tratto strepitosamente: il
quale artifizio è usato frequentemente, ed a maraviglia ne’ gran concerti di
Roma con diletto incredibile di chi gusta la perfezione dell’arte. Ora di
questa diversità, ed alterazione della voce, nella quale eccellenti sono fra
gli strumenti da arco, affatto privo è il gravecembalo; e sarebbe da chi che
sia, stata riputata una vanissima immaginazione il proporre di fabbricarlo in
modo, che avesse questa dote.
Con
tutto ciò una sì ardita invenzione è stata non meno felicemente pensata, che
eseguita in Firenze dal sig. Bartolommeo Cristofali, Padovano, Cembalista
stipendiato dal Serenissimo Principe di Toscana. Egli ne ha finora fatti tre
della grandezza ordinaria degli altri gravecembali e son tutti riusciti
perfettamente. […]”
Bartolomeo
Cristofori costruisce circa 20 strumenti di questo tipo e li definisce
“Gravicembalo col piano e il forte”, grazie alla loro capacità di ottenere
le volute sfumature sonore. Ne derivera poi il definitivo nome “Pianoforte”,
arrivando alla determinazione delle essenziali proprietà di questo strumento.
Purtroppo l’invenzione degli strumenti a tastiera e a martelli in Italia venne
presto dimenticata, restando senza particolare rilevanza, sia dal punto di vista
strumentistico quanto compositivo. E lo stesso Bartolomeo Cristofori, negli anni
successivi, torna a fabbricare clavicembali.
Analogamente
accade in Francia, con i progretti di un cembalo a martelli studiato nel 1716 da
Jean Marius, e altrettanto a Dresda, con il modello di meccanica a martelli di
Christoph Gottlieb Schroeter, nel 1717, che forse aveva tratta l’idea dal
“Pantaleon”.
Fu
infine il famoso fabbricante di organi e clavicembali di Freiberg, Gottfried
Silbermann (1683-1753) che, essendo venuto in possesso degli elementi
dettagliati della meccanica a martelli del Cristofori, riprende in mano
l’invenzione italiana, inizia su tale scorta una serie di esperimenti, che
hanno esito favorevole, talché, poi, per il resto della sua vita, egli costruì
tutta una serie di “Hammerfluegel” e “Hammerklaviere”, che destarono
dappertutto il massimo interesse. E con ciò Silbermann dà alla costruzione dei
pianoforti un impulso determinante, da cui traggono origine intere generazioni
di pianofortai, oggi pervenuti alle tecniche più avanzate.
Tra
i più influenti ammiratori dei nuovi strumenti del Silbermann troviamo
Federico II di Prussia (il Grande), valente compositore e flautista. Egli
incarica il Silbermann della costruzione di diversi strumenti del nuovo tipo,
per le musiche da eseguirsi nella sua “Cappella di Corte”, dove il posto di
cembalista era ricoperto da Carl Philipp Emanuel Bach. E ciò contribuisce ad
una ancor maggiore diffusione dello strumento. Probabilmente, anche Johann
Sebastian Bach era pervenuto a conoscenza, ancor prima della visita alla Corte
di Potsdam (nell’anno 1747), di questi iniziali “pianoforti” - o
“forte-piani”, come si era cominciato a chiamarli - su cui egli aveva lì
per lì espresso un giudizio negativo. Solo quando raggiunsero un certo grado di
perfezionamento, si rese conto della loro validità e diede loro il suo
apprezzamento. Comuque, per tutta la prima metà del XVIII sec. questi nuovi
strumenti non riuscirono ad imporsi; e anche lo stesso Federico II, nei suoi
anni più avanzati, tornò a preferire la “voce” del vecchio clavicembalo.
E’
verso l’ultimo scorcio del XVIII sec. Che la meccanica a martelli pervenne a
tali e più dettagliati miglioramenti, da riuscire a prevalere sugli strumenti
suoi immediati precursori.
Ma
è, tra gli altri, il maestro costruttore Johann Andreas Stein (1728-1792) di
Augsburg, che, su preziosi suggerimenti del Silbermann, fa fare al nuovo
strumento un passo decisivo. I suoi “Hammerfluegel” sono particolarmente
ammirati da Wolfgang Amadeus Mozart, il quale, dopo aver visitato il laboratorio
dello Stein, li definisce ormai come i suoi strumenti preferiti, e li usa per
molte delle sue più importanti composizioni. Dopo aver prodotto oltre 700
esemplari ad Augsburg, l’azienda venne presa in mano dalla figlia Nanette
Stein, da suo fratello Mattaeus e da suo marito, Johann Andreas Streicher, e la
trasferirono a Vienna, dove ottennero grande successo.
In
Francia, spettò un posto importante al fabbricante di strumenti Sébastien
Erard (1752-1831), che nel 1768 si era trasferito da Strasburgo a Parigi. A lui
sono dovuti notevoli perfezionamenti e l’apporto di sue vere e proprie
invenzioni, tanto da incontrare, tra l’altro, l’approvazione di Ludwig van
Beethoven che, dal 1803 al 1816 possedette un “Hammerfluegel” Erard.
Tra
i numerosi altri noti fabbricanti del XIX sec. sono da menzionare Ignace Pleyel
(1757-1831) e suo figlio Camille, di Parigi. I loro strumenti, grazie alla loro
“voce cantante”, sono prediletti da Frederic Chopin e godono di larga
diffusione. Un coda Pleyel del 1870 circa presenta già dettagli costruttivi che
si trovano ancor oggi in strumenti moderni. E anche l’aspetto esteriore si
avvicina assai a quello del nostri attuali pianoforti a coda.
Dopo
la guerra del sette anni (1756-1763) un gruppo di allievi del Silbermann riprese
l’opera del Maestro in Sassonia, per trasferirsi poi in Inghilterra, allora
alleata della Prussia. Dopo un provvisorio inizio di collaborazione con i
cembalari inglesi, alcuni di essi si misero in proprio per tornare alla
produzione dei “Hammerklaviere”, fino ad allora sconosciuti in Inghilterra.
Tali strumenti vennero costruiti in forma analoga a quella del clavicordi e del
virginali, a struttura quadrangolare, e denominati “Piano-forti a tavolo”
(ted. “Tafelklavier”).
Probabilmente,
il più importante costruttore sassone di questi strumenti a Londra fu Johannes
Zumpe. Dopo aver conseguito sia pur parziali successi di vendita e di produzione,
egli tornò in Germania nel 1783-84.
Pianoforti
a tavolo con meccanica a martelli erano invero già stati costruiti anche prima
da Johann Socher (1842) di Sonthofen, come pure, soprattutto, dal famoso
costruttore di Gera, Christian Ernst Frederici (1709-1780), che fornì anche
Carl Philipp Emanuel Bach e Leopold Mozart. Analoghi strumenti vennero prodotti
fin verso la seconda meta del XIX sec. anche dalla Casa Steinway e dalla non
trascurabile fabbrica di Hannover, Helmholz.
Gia nel XVIII sec. esisteva tutta una serie di modelli
di “coda verticali” con meccanica a martelli, come, p.es., il “coda a
piramide” di Christian Ernst Friederici, che aveva destato le più grandi
meraviglie. Essi sono i successori degli strumenti a saltarello verticali,
chiamati “claviciterio”, descritti per la prima volta in un trattato di
Paulus Paulirinus verso il 1460.
In
anni seguenti apparirono poi i cosiddetti pianoforti a giraffa, a lira o a
cassettone, che però, nonostante la loro forma singolare, non incontrarono il
favore del pubblico e oggi sono ormai considerati rarità da museo.
Sull’esempio
dei modelli a coda verticale, dal 1890 si diffuse rapidamente e in sempre
maggiore quantità il pianoforte verticale (ted. “Pianino”), immediato
precursore di quelli attuali. Primi tentativi in tale senso furono dovuti ai
londinesi Robert Wornum, col suo “Cottage Piano”, a John Broadwood, col
“Cabinet Piano”, come pure a John Isaak Hawkine, di Philadelphia,
costruttore del “Portable Grand Pianoforte”. Vi si aggiungono i verticali di
Matthias Mueller di Vienna, i piani “a consolle” di Jean Marie Pape e i
verticali di Erard e Pleyel di Parigi, costruttori ingegnosi, che si sono resi
benemeriti nell’evoluzione e il perfezionamento di questi strumenti.
Le corde
dei verticali sono in genere rivolte verso il suolo (tenute dalle caviglie
all’estremita superiore) e di lunghezza inferiore rispetto a quella dei coda.
Da ciò anche la loro forma più compatta.
Dopo
la metà del secolo scorso, sia i pianoforte a tavolo che i “coda
verticali” andarono man mano scomparendo. In America, il primo resistette
ancora fin verso il 1880. Ma sia in Europa che in America, la costruzione di
pianoforti verticali veri e propri va affermandosi, dilagando sempre più,
assumendo man mano quella forma che anche attualmente ci è familiare. Spesso
vennero impiegati legni particolari, e si impreziosiscono i “mobili” con
intarsi e lavori di intaglio.
Nell’ultimo
terzo del secolo scorso prese definitivamente piede e si sviluppò l’economia
prettamente industriale, che coinvolse anche la fabbricazione dei pianoforti.
E’
cosi che sorsero case dai nomi prestigiosi, tra cui si annovera anche la Wilhelm
Schimmel Pianofortefabrik, fondata nel 1885 a Lipsia. I suoi strumenti ottengono
ben presto vasti riconoscimenti, e alle esposizioni sono loro assegnati
importanti premi. La sua attività creativa contribuì alla formazione di quegli
impulsi vitali, che porteranno allo sviluppo dei pianoforti moderni del secolo
XX.
II pianoforte a tavolo
Il pianoforte a coda “verticale”
II pianoforte verticale