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La storia del pianoforte - parte II

La storia del pianoforte

Gli strumenti a pizzico

Quasi contemporaneamente ai clavicordi compaiono gli strumenti a pizzico, clavicembalo, spinetta e virginale. A differenza della stretta parentela del clavicordo con l’antico monocordo, gli strumenti a pizzico si dovrebbero vedere piuttosto come una svolta meccanizzata del già menzionato medievale salterio, suonato a pizzico con le dita.

In questi strumenti il pizzico avviene per mezzo di un dispositive a tasto, sulla cui estremita posteriore poggia un “saltarello” - piccolo parallepipedo di legno - munito nella parte superiore di un beccuccio. Il beccuccio può essere di penna di corvo. Nel suo movimento in su, il beccuccio pizzica la corda, si sposta ridiscendendo, mentre uno smorzo di feltro posto in cima al saltarello riporta la corda in posizione di riposo.

Il Clavicembalo

II principale del summenzionati strumenti è il clavicembalo (ted. “Cembalo”, fr. “clavecin”, ingl. “harpsichord”). Esso ha di regola la forma tipica “a coda” (ted. “Fluegel-form” = “a forma di ala”), che si adegua alla naturale disposizione delle corde. Queste sono messe in prolungamento dei tasti e diventano sempre più corte con l’aumentare dell’altezza del suono. La “voce” di tale strumento (chiamato in tedesco anche “Kiel-fluegel”) è notevolmente più voluminosa e potente di quella, più contenuta, del clavicordo, anche di quelli più grandi, a coro tripio; ma del clavicordo manca, a questi nuovi strumenti, la possibilita di “modulare” il suono, dato che in essi, una volta pizzicata la corda, cessa ogni contatto tra tasto e corda. Tuttavia, i clavicembali più perfezionati presentano altre possibilità di sfumature dinamiche e coloristiche, grazie all’impiego di “cori plurimi”, di registri da 16’, 8’, 4’ e 2’, come pure all’adozione di più manuali.

La spinetta

La più piccola forma di questo tipo di strumenti è la spinetta, la cui etimologia è incerta: o da “piccola spina”, di cui ha la forma il plettro, o da Giovanm Spinetti, cembalaro veneziano attivo all’inizio del ‘500. La tastiera è disposta sul lato più lungo dello strumento, contrariamente al clavicembalo, che l’ha “in testa”. Ciò significa che nella spinetta le corde non sono prolungamento del tasti, bensì si trovano ortogonali ad essi, come nei semplici clavicordi. La forma esterna della spinetta è di solito irregolare, spesso pentagonale o trapezoidale. Inoltre, le spinette hanno per lo più corde singole e una voce piuttosto limitata. Perciò sono, come già il clavicordo, prefenti quali strumenti per far musica in famiglia.

Il virginale

L’origine etimologica della parola “Virginale” è assai discussa e dubbia. Strumento a pizzico di forma quadrangolare, di dimen­sioni ridotte, il virginale è preferito in Inghilterra e nei Paesi Bassi, ma anche in altri paesi europei è stato costruito per secoli e si è molto diffuso. La forma esteriore qua­drangolare si è mantenuta fino al pianoforte a tavolo, venuto più tardi.

Gli strumenti denominati “pianoforte”

Sembra accertato che gia nel XV e XVI sec. furono sperimentati sistemi di meccanica in cui bacchette - oppure piccoli martelli - avrebbero percosso la corda, anziche pizzicarla, per metterla in vibrazione. Immediate precursore degli “strumenti a tastiera e martelli” si ritiene sia stato uno strumento del tipo “Cymbalurn” elaborato da Pantaleon Hebenstreit (1667 - 1750) verso la fine del sec. XVIII, e da questi presentato in un giro di concerti per tutta Europa e denominato appunto “Pantaleon”. Il principio che ne sta alla base, e che prevede l’immediata ricaduta del martello dopo l’avvenuta percussione, è in definitiva lo stesso, sul quale si fondano le meccaniche dei pianoforti. Viene da pensare che la meccanizzazione del Cymbalum ne sia stato il primo seme, correlando il fatto che gli strumenti a pizzico traggono origine dalla meccanizzazione del monocordo.

La meccanica a martelli, giunta ad uno stadio di sufficiente maturazione, soppianta via via le meccaniche a saltarello dei clavicembali, delle spinette e dei virginali, come pure le meccaniche a tangente dei clavicordi. Solo la forma del corpo sonoro rimane in un primo tempo praticamentc inalterata rispetto ai predecessori.

Il “pianoforte a martelli”

L’invenzione d’un primo “pianoforte a martelli” valido per successivi perfezionamenti, è merito del maestro cembalaro italiano Bartolomeo Cristofori (1655 - 1731), e pare risalga a circa il 1709 (secondo altri al 1702 - e, da una relazione di Mano Fabbri nel 1968 - al 1698 - 2 anni prima del Giubileo - 1700). Egli era Conservatore della Collezione di Strumenti Musicali di Ferdinando de’ Medici a Firenze, e pare che i suoi esperimenti avessero avuto inizio dal 1690: dato l’alto grado di perfezione a cui era già pervenuto, taluno non esclude che già altri avessero, in precedenza, lavorato in tale senso; il che dovrebbe avergli dato una certa sicurezza.

La dettagliata descrizione della nuova meccanica inventata dal Cristofori e data dal Marchese Scipione Maffei nel “Giornale de’ Letterati” edito a Venezia nel 1711 e nel 1719; questi articoli furono poi tradotti nel 1725 su “Critica musica” di Johann Mattheson, da Ulrich Koenig nel tedesco del suo tempo. L’articolo del Maffei del 1711, trascritto ora con l’alfabetizzazione moderna, ma intatto nel testo dice: “Se il pregio delle invenzioni deve misurarsi dalla novità, e dalla difficoltà, quella di cui siamo al presente a dar ragguaglio, non è certamente inferiore a qualunque altra da gran tempo in qua si sia veduta. Egli è noto a chiunque goda della musica, che uno dei principali fonti, da quali traggano i periti di quest’arte il segreto di singolarmente dilettar chi ascolta, è il piano, e’l forte; o sia nelle proposte, e risposte, o sia quando con artifiziosa degradazione lasciandosi a poco a poco mancar la voce, si ripiglia poi ad un tratto strepitosamente: il quale artifizio è usato frequentemente, ed a maraviglia ne’ gran concerti di Roma con diletto incredibile di chi gusta la perfezione dell’arte. Ora di questa diversità, ed alterazione della voce, nella quale eccellenti sono fra gli strumenti da arco, affatto privo è il gravecembalo; e sarebbe da chi che sia, stata riputata una vanissima immaginazione il proporre di fabbricarlo in modo, che avesse questa dote.

Con tutto ciò una sì ardita invenzione è stata non meno felicemente pensata, che eseguita in Firenze dal sig. Bartolommeo Cristofali, Padovano, Cembalista stipendiato dal Serenissimo Principe di Toscana. Egli ne ha finora fatti tre della grandezza ordinaria degli altri gravecembali e son tutti riusciti perfettamente. […]

Bartolomeo Cristofori costruisce circa 20 stru­menti di questo tipo e li definisce “Gravicembalo col piano e il forte”, grazie alla loro capacità di ottenere le volute sfumature sonore. Ne derivera poi il definitivo nome “Pianoforte”, arrivando alla determinazione delle essenziali proprietà di questo stru­mento. Purtroppo l’invenzione degli strumenti a tastiera e a martelli in Italia venne presto dimenticata, restando senza particolare rilevanza, sia dal punto di vista strumentistico quanto compositivo. E lo stesso Bartolomeo Cristofori, negli anni successivi, torna a fabbricare clavicembali.

Analogamente accade in Francia, con i progretti di un cembalo a martelli studiato nel 1716 da Jean Marius, e altrettanto a Dresda, con il modello di meccanica a martelli di Christoph Gottlieb Schroeter, nel 1717, che forse aveva tratta l’idea dal “Pantaleon”.

Fu infine il famoso fabbricante di organi e clavicembali di Freiberg, Gottfried Silbermann (1683-1753) che, essendo venuto in possesso degli elementi dettagliati della meccanica a martelli del Cristofori, riprende in mano l’invenzione italiana, inizia su tale scorta una serie di esperimenti, che hanno esito favorevole, talché, poi, per il resto della sua vita, egli costruì tutta una serie di “Hammerfluegel” e “Hammerklaviere”, che destarono dappertutto il massimo interesse. E con ciò Silbermann dà alla costruzione dei pianoforti un impulso determinante, da cui traggono origine intere generazioni di pianofortai, oggi pervenuti alle tecniche più avanzate.

Tra i più influenti ammiratori dei nuovi stru­menti del Silbermann troviamo Federico II di Prussia (il Grande), valente compositore e flautista. Egli incarica il Silbermann della costruzione di diversi strumenti del nuovo tipo, per le musiche da eseguirsi nella sua “Cappella di Corte”, dove il posto di cembalista era ricoperto da Carl Philipp Emanuel Bach. E ciò contribuisce ad una ancor maggiore diffusione dello strumento. Probabilmente, anche Johann Sebastian Bach era pervenuto a conoscenza, ancor prima della visita alla Corte di Potsdam (nell’anno 1747), di questi iniziali “pianoforti” - o “forte-piani”, come si era cominciato a chiamarli - su cui egli aveva lì per lì espresso un giudizio negativo. Solo quando raggiunsero un certo grado di perfezionamento, si rese conto della loro validità e diede loro il suo apprezzamento. Comuque, per tutta la prima metà del XVIII sec. questi nuovi strumenti non riuscirono ad imporsi; e anche lo stesso Federico II, nei suoi anni più avanzati, tornò a preferire la “voce” del vecchio clavicembalo.

E’ verso l’ultimo scorcio del XVIII sec. Che la meccanica a martelli pervenne a tali e più dettagliati miglioramenti, da riuscire a prevalere sugli strumenti suoi immediati precursori.

Ma è, tra gli altri, il maestro costruttore Johann Andreas Stein (1728-1792) di Augsburg, che, su preziosi suggerimenti del Silbermann, fa fare al nuovo strumento un passo decisivo. I suoi “Hammerfluegel” sono particolarmente ammirati da Wolfgang Amadeus Mozart, il quale, dopo aver visitato il laboratorio dello Stein, li definisce ormai come i suoi strumenti preferiti, e li usa per molte delle sue più importanti composizioni. Dopo aver prodotto oltre 700 esemplari ad Augsburg, l’azienda venne presa in mano dalla figlia Nanette Stein, da suo fratello Mattaeus e da suo marito, Johann Andreas Streicher, e la trasferirono a Vienna, dove ottennero grande successo.

In Francia, spettò un posto importante al fabbricante di strumenti Sébastien Erard (1752-1831), che nel 1768 si era trasferito da Strasburgo a Parigi. A lui sono dovuti notevoli perfezionamenti e l’apporto di sue vere e proprie invenzioni, tanto da incontrare, tra l’altro, l’approvazione di Ludwig van Beet­hoven che, dal 1803 al 1816 possedette un “Hammerfluegel” Erard.

Tra i numerosi altri noti fabbricanti del XIX sec. sono da menzionare Ignace Pleyel (1757-1831) e suo figlio Camille, di Parigi. I loro strumenti, grazie alla loro “voce cantante”, sono prediletti da Frederic Chopin e godono di larga diffusione. Un coda Pleyel del 1870 circa presenta già dettagli costruttivi che si trovano ancor oggi in strumenti moderni. E anche l’aspetto esteriore si avvicina assai a quello del nostri attuali pianoforti a coda.

II pianoforte a tavolo

Dopo la guerra del sette anni (1756-1763) un gruppo di allievi del Silbermann riprese l’opera del Maestro in Sassonia, per trasferirsi poi in Inghilterra, allora alleata della Prussia. Dopo un provvisorio inizio di collaborazione con i cembalari inglesi, alcuni di essi si misero in proprio per tornare alla produzione dei “Hammerklaviere”, fino ad allora sconosciuti in Inghilterra. Tali strumenti vennero costruiti in forma analoga a quella del clavicordi e del virginali, a struttura quadrangolare, e denominati “Piano-forti a tavolo” (ted. “Tafelklavier”).

Probabilmente, il più importante costruttore sassone di questi strumenti a Londra fu Johannes Zumpe. Dopo aver conseguito sia pur parziali successi di vendita e di produ­zione, egli tornò in Germania nel 1783-84.

Pianoforti a tavolo con meccanica a martelli erano invero già stati costruiti anche prima da Johann Socher (1842) di Sonthofen, come pure, soprattutto, dal famoso costruttore di Gera, Christian Ernst Frederici (1709-1780), che fornì anche Carl Philipp Emanuel Bach e Leopold Mozart. Analoghi strumenti vennero prodotti fin verso la seconda meta del XIX sec. anche dalla Casa Steinway e dalla non trascurabile fabbrica di Hannover, Helmholz.

Il pianoforte a coda “verticale”

Gia nel XVIII sec. esisteva tutta una serie di modelli di “coda verticali” con meccanica a martelli, come, p.es., il “coda a piramide” di Christian Ernst Friederici, che aveva destato le più grandi meraviglie. Essi sono i succes­sori degli strumenti a saltarello verticali, chiamati “claviciterio”, descritti per la prima volta in un trattato di Paulus Paulirinus verso il 1460.

In anni seguenti apparirono poi i cosiddetti pianoforti a giraffa, a lira o a cassettone, che però, nonostante la loro forma singolare, non incontrarono il favore del pubblico e oggi sono ormai considerati rarità da museo.

II pianoforte verticale

Sull’esempio dei modelli a coda verticale, dal 1890 si diffuse rapidamente e in sempre maggiore quantità il pianoforte verticale (ted. “Pianino”), immediato precursore di quelli attuali. Primi tentativi in tale senso furono dovuti ai londinesi Robert Wornum, col suo “Cottage Piano”, a John Broadwood, col “Cabinet Piano”, come pure a John Isaak Hawkine, di Philadelphia, costruttore del “Portable Grand Pianoforte”. Vi si aggiungono i verticali di Matthias Mueller di Vienna, i piani “a consolle” di Jean Marie Pape e i verticali di Erard e Pleyel di Parigi, costruttori ingegnosi, che si sono resi benemeriti nell’evoluzione e il perfezionamento di questi strumenti.

Le corde dei verticali sono in genere rivolte verso il suolo (tenute dalle caviglie all’estremita superiore) e di lunghezza inferiore rispetto a quella dei coda. Da ciò anche la loro forma più compatta.

Dopo la metà del secolo scorso, sia i piano­forte a tavolo che i “coda verticali” andarono man mano scomparendo. In America, il primo resistette ancora fin verso il 1880. Ma sia in Europa che in America, la costruzione di pianoforti verticali veri e propri va affermandosi, dilagando sempre più, assumendo man mano quella forma che anche attualmente ci è familiare. Spesso vennero impiegati legni particolari, e si impreziosiscono i “mobili” con intarsi e lavori di intaglio.

Nell’ultimo terzo del secolo scorso prese definitivamente piede e si sviluppò l’economia prettamente industriale, che coinvolse anche la fabbricazione dei pianoforti.

E’ cosi che sorsero case dai nomi prestigiosi, tra cui si annovera anche la Wilhelm Schimmel Pianofortefabrik, fondata nel 1885 a Lipsia. I suoi strumenti ottengono ben presto vasti riconoscimenti, e alle esposizioni sono loro assegnati importanti premi. La sua attività creativa contribuì alla formazione di quegli impulsi vitali, che porteranno allo sviluppo dei pianoforti moderni del secolo XX.